Testimoni, controcorrente sempre
Non smetto mai di lavorare per raggiungere i miei obiettivi che, da sempre, coincidono con una missione.
Oltre il tempo, noi mai vinti
SAN PIO A DON LUIGI VILLA:
"LE AFFIDO UNA MISSIONE A VITA, COMBATTERE LA MASSONERIA NELLA CHIESA"
una setta di pretesi illuminati, con la base affarista e faccendiera ed i vertici dal sentire luciferino
Don Luigi Villa, nato a Lecco il 3 febbraio 1918, sacerdote comboniano, nel 1956, a soli 38 anni, ricevette personalmente da padre Pio l’incarico, come una missione, di dedicare il suo sacerdozio alla difesa della Chiesa voluta da Cristo dall’opera della massoneria, che vi si stava per infiltrare. “Presti particolare attenzione a Montini”, aggiunse San Pio.
Don Villa ne parlò col suo superiore, il monsignore bresciano Giambattista Bosio, generalmente stimato e benvoluto, arcivescovo di Chieti, che ottenne per lui il mandato papale di Pio XII.
Queste le parole pronunciate dal Papa al suo Pro-segretario di Stato, card. Domenico Tardini, al conferimento dell’incarico: «Dica a monsignor Bosio che ho accettato l’incarico affidato a don Luigi Villa da Padre Pio. Gli do un mandato papale, deve laurearsi in Teologia Dogmatica e deve essere affidato ai cardinali Alfredo Ottaviani, Pietro Palazzini e Pietro Parente. Dica inoltre al Vescovo che è la prima volta, nella storia della Chiesa, che viene affidato ad un giovane Sacerdote un simile incarico. E gli dica anche che sarà l’ultima!».
La vita di don Villa è interamente trascorsa nello svolgimento del compito affidatogli, per il quale si impegnò senza sosta né paura, nonostante sia stato osteggiato, perseguitato, attaccato a più riprese, con persino diversi attentati alla sua persona, da lui stesso raccontati e per i quali, per lungo tempo, venne persino scortato dalla Digos.
Ho raccolto di prima mano indicazioni e notizie che se fossero vere anche solo in parte, e dubito fortemente che non lo siano per plurimi fattori coincidenti, autorevoli testimonianze e fonti attendibili, gettano una luce “apocalittica” sui papati postconciliari e sulla storia recente della Chiesa. Le recenti esternazioni del fratello di Emanuela Orlandi ne sarebbero un parziale e pallido anticipo. Ed aprono all’inquietante scenario di un’Apocalisse in corso, più che giustificata. Ne farò appunto, a futura memoria e tratterò il tema per gradi.
Alessandro Piergentili
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Neochiesa, la fede al bivio
Un’apocalisse sarebbero le letture del tempo per la neochiesa in lattice, gel e mascherina, in chi avesse ancora un cuore "di carne", quello sì, capace di novità.
San Giacomo, senza ombre, ammonisce infatti i cristiani a “non lasciarsi contaminare da questo mondo”. E non parla di virus. La sua è la Chiesa di chi i lebbrosi del tempo, privi di ogni pass sociale, li accoglieva senza paura a braccia aperte, abbracciandoli fisicamente alla faccia del distanziamento, andando persino a cercarli.
E San Marco, nel capitolo 7, ci mostra Gesù scagliarsi contro il formalismo igienico dei presunti benpensanti e religiosi del tempo e ci insegna, perché non lo sappiamo più, che l’impurità di cui aver realmente paura è quella che proviene da noi e non dall’esterno.
Soprattutto ci ricorda che per un cristiano la vera preoccupazione è la salvezza dell’anima, non la vuota e perdente difesa del corpo perché davvero “chi vuole salvare la sua vita la perderà”.
Da quando nella Chiesa è penetrato il vero virus di cui aver timore, quello dell’eresia umanitaria divinizzata, con molti suoi rappresentanti divenuti sodali delle élites pretese illuminate, questa Chiesa si è seduta, in senso letterale, nei principali consessi ed organismi del governo mondiale e non solo professa, nei fatti, una religione eretica umanitaria (Cristo è lontano 2mila anni per molti di loro) ma soprattutto è divenuta parte integrante del sistema di governo globale, col quale si manifesta utile ed intonata.
Avversati dal mondo e perseguitati sono inevitabilmente i testimoni fedeli di Cristo sparsi sulla Terra, che restano scandalo agli occhi dei potenti e stoltezza per i falsi sapienti, ma l’istituzione è contaminata in profondità.
Perso il lievito, finito il sale, la neochiesa edulcorata parla di misericordia praticando l’intolleranza e annuncia l’uomo sostituendolo a Cristo.
Ecco che allora, perché ciò avvenga, Cristo deve uscire dall’Eucarestia, che nella protestantizzazione in atto diventa solo memoriale ed anziché comunicarsi col Sacro, si attinge al pane, con fare culinario.
A processioni e preghiere di guarigione, nella certezza del primato divino, si vanno sostituendo mascherine e guanti, perché il virus invisibile esiste, Dio è invisibile e chissà.
E l’acquasantiera, fonte di grazia per millenni persino nei secoli della lebbre, della peste e dell’hiv, è stata svuotata e riempita di gel igienizzante, sacramentale in cui crede la nuova religione terapeutico sanitaria.
Non è dato sapere se Cristo al suo ritorno troverà ancora la fede sulla Terra né se potrà accedere per verificarlo, a meno che non si doti di un "lasciapassare" od almeno di mascherine, ma di certo il culto del virus non è esattamente quanto ha raccomandato a Pietro.
Alessandro Piergentili
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LA LINGUA DEI CORVI
C’è una fede diffusa, per prima, tra addetti ai lavori, che parla ormai la stessa lingua del tempo.
Ne vanno fieri, la parlano bene e la parlano troppo.
E’ una lingua suadente, di un vuoto parlare.
E’ la fede pretesa adulta, molto inculturata, improntata alla asserita necessaria collaborazione tra Chiesa e Stato, che è fatta di ministri militanti, spettinati e molto casual, che predicano alla “bella ciao”, usano stole arcobaleno, parlano da capipopolo marxisti a comunisti nel frattempo scomparsi e annunciano un vangelo “sociale” privo di ogni trascendenza, che tocca la pancia dei fedeli meno attrezzati e suscita emozioni a basso costo, senza reale prospettiva.
Sono così, si spera per loro inavvertitamente, utili pedine di poteri grigi cari alla massoneria ed ai suoi progetti di "nuovi ordini mondiali" e religioni umanitarie.
Consacrati che rifiutano, così, il senso misterico dello stesso termine e ironizzano sulle mani unte di crisma, pronti a menarle all’aria delle piazze e sui palchi della vuota retorica falsamente buonista.
Persone che sono più scettiche di un agnostico e pensano ad un Dio metafora ed un Cristo vecchio di duemila anni ed allora celebrano, idolatrandolo, l’uomo, nella sua deprimente individualità disperante.
Uomini di Chiesa che non credono realmente nella Resurrezione, ma sono i primi convinti che un virus resista alla potenza di Dio anche laddove è particolarmente presente, e persino nella stessa Eucarestia.
Ecco che allora si negano le Messe, si sciolgono i fedeli da impegni e conforti vitali millenari, si trasformano le chiese alla stregua di cinema e teatri, trattandole alla stessa stregua.
Questa parte di Chiesa è decotta, già morta prima del covid19 e, almeno questo conforta, non ha prospettive, né conoscerà resurrezione.
Alessandro Piergentili
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Ite, missa est
Non succeda mai più, né più taceremo.
Farsi chiudere le porte delle chiese, luoghi del sacro considerati un tempo inviolabili in nome dell’asylum Dei, è di una invadenza irrispettosa inaudita da parte di chi esercita il potere, a dimostrazione di un’ignoranza, del divino e dell’animo umano, che ha precedenti solo ai tempi della barbarie giacobina.
Il motto libera Chiesa in libero Stato, caro ai massoni fin dall’unità d’Italia e all’ideologia liberale che ne fu alla base, la cui naturale mutazione, il liberismo, è tra i mali peggiori del tempo, ha portato povere persone che si dimostrano invero modeste a esercitare con arroganza il poco potere formale loro attribuito, sa Dio da chi e perché.
Le marionette sulla scena del tempo, i cui fili sono certo tirati dalla plutocrazia pretesa illuminata, dimostrano così la loro pochezza nell’infrangere il cuore stesso dell’essere umano.
E quel che di male si fa ad un uomo in buona “fede” si fa all’umanità intera!
Fondati su una base incerta, mai nemmeno personalmente eletti, circondati da prodotti spuri del varietà sociale se non televisivo, queste comparse del tempo giocano al “grande fratello”, investiti di un ruolo che potrebbe essere interpretato con serietà, se non divenisse così invece comico, o persino tragico.
Per i credenti, chi guarda a Dio ed al Dio cristiano in primis, la partecipazione ai sacramenti ed alle liturgie è un fatto realmente esistenziale, non meno importante del mangiare e del bere, o dell’andare dal tabaccaio.
La Santa Messa non è una recita, nè cinema nè teatro, con buona pace dei protestanti di casa nostra e non può essere seguita in differita o tramite i media, ma è l’incontro con Cristo, vero e vivo, al quale partecipare, è infatti elemento essenziale della propria stessa ragion d’essere e di vivere.
E accostarsi alla Santa Comunione è allora vitale e non un fatto devozionale che si possa surrogare virtualmente.
Non si pretende certo che chi non ha fede possa comprenderlo naturalmente, ma una normale intelligenza e media conoscenza dell’essere umano dovrebbe aiutare in questo.
In difetto vale il principio che davanti a leggi ingiuste il cristiano si alza in piedi e si oppone, con civiltà e compostezza, ma con tutto il rigore necessario.
Se segno della fedeltà cristiana è il non essere graditi al potere è il momento di ricordarsene e di essere coerenti con se stessi, la propria storia, la propria identità e alterità, la stessa missione.
Non abbiamo avuto paura dei leoni, non ci siamo fatti piegare da Valeriano, Diocleziano e Nerone, abbiamo superato campi di prigionia e gulag, durante l’epoca moderna in Giappone i cristiani venivano crocifissi in pubblico, siamo stati costretti alla clandestinità da regimi dispotici e dittatoriali di ogni genere e le persecuzioni continuano ancora oggi in Africa come in Asia.
Si stima che tuttora siano circa trecento milioni i cristiani perseguitati nel mondo e alcune migliaia ogni anno i morti per ragioni della fede.
Ora, nell’Italia del coronavirus, questo flagello biblico su cui interrogarsi realmente a fondo con verità e giustizia, si è fatto un lavoro che appare scientifico, più pulito e ferale.
Con l’atomica virale è stata spazzata via, di colpo e senza alcuna resistenza, la vita e la pratica di fede dalle nostre città, paesi e campagne. Sono stati dissolti duemila anni di cristianesimo, nel silenzio assordante di una pretesa collaborazione all’emergenza.
Ma lasciate che lo Stato pensi ai suoi morti, par di sentire il Cristo dei Vangeli e venite a me, voi che siete stanchi e – parole Sante – oppressi!
La separazione del potere religioso da quello politico e temporale, che nei salotti benpensanti odierni e nei loro club d’élite illuminati si vorrebbe come una frattura incolmabile a tutto vantaggio del secondo, cui solo spetterebbe agire e legiferare in assoluta autonomia, persino contro la vita umana e la sua inviolabile dignità quando contrarie al mercato ed alle convenienze, è una iattura da misconoscere, i tempi sono maturi ed il vaso è colmo.
Tra Dio e Cesare non c’è infatti alcuna cesura, ma una separazione funzionale, in cui Dio solo è però il vertice dell’azione umana in ogni tempo e suo è il primato.
Se ne rendano conto e se ne facciano ragione gli Erode del tempo.
Altrimenti entreremo in Gerusalemme e nei loro templi, ma non per pagare i tributi o far loro omaggio.
Alessandro Piergentili
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I GIUSTI, CHI SONO REALMENTE
in ricordo di Giulietto Chiesa
Se quando muore un poeta il mondo intero è più povero, anche senza avvedersene, perché è persa con lui la parte più bella e pura di ciascuno di noi, quando a lasciarci è un uomo libero, a piangerlo sono comunque in tanti. La perdita di una persona dalla mente aperta, amante della verità e della giustizia e capace di cercarla ben oltre logori steccati e stucchevoli appartenenze di comodo, con spirito realmente libero e intelligenza, è una perdita grave per l’umanità cosciente. Giulietto Chiesa è stato un grande personaggio, libero persino di smentirsi, come solo le persone superiori riescono a fare, spinto com’era dalla capacità di leggere, indagare, interpretare e non fermarsi alle apparenze.
Cercava il volto delle persone e guardando loro negli occhi vi leggeva il cuore e la stessa vita, perchè ambiva al vero, al giusto, al bello.
Ora può guardare negli occhi la Verità tutta intera e scoprire che chi l’ha cercata per tutta la vita, contro ogni convenienza sociale e personale, ne sarà infine abbracciato, avvolto e consolato.
A chi resta e, pur da visioni diverse dell’uomo e della società, ne ha condiviso l’anelito di vera giustizia, il compito, stringendo le fila, di continuarne il cammino e le giuste battaglie.
Condivido anch’io l’opportunità di dedicargli il tributo riservato dai cavalieri Templari a chi ne era alleato e, pur non essendo dei loro, ne meritava stima e convinto rispetto: “Il giusto sarà ricordato in eterno, né avrà da temere cattiva fama. A lui dunque perdona, o Dio. E riposi in pace, amen”.
Buon cammino, amico.
Alessandro Piergentili
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La natura tende all'armonia
il Covid, come è stato diffuso, scomparirà
Credo sia acclarato da secoli che la Storia la scrivano i vincitori, come sentenziò per primo il grande filosofo greco Aristotele. Compito arduo dei veri storici è cercare di ricostruirla dalle fonti autentiche, per quanto possibile. Nell'attualità di ogni giorno la verità pretendono invece di affermarla le fonti comunicative ufficiali del mainstream globale, retto ed ispirato dalle potenti lobby mondiali e dalle note famiglie che le controllano. Il coro deve esibirsi “intonato”, sia pur diviso in lotte sorde interne, ma tutti concordi nel perseguire i vantaggi (guadagni) comuni. Chi canta fuori dal coro è tacciato di essere “stonato” e incompetente, se non senescente o folle.
Ma ci sono voci libere coraggiose, capaci di affermare la verità, sempre e comunque. Persone dalla schiena dritta, favorite se giunte ormai ad una posizione sociale e personale tale da consentire loro il lusso della libertà, anche di quella espressiva.
Tra questi vi è certo l’accademico professor Luc Montagnier, oggi lapidato dai media di regime, ma indubitabilmente un’eccellenza in capo scientifico, da premio Nobel della medicina quale è, e per la sua forza morale dimostrata già in precedenza nell’indipendenza del suo giudizio.
Il virus Covid19, a suo giudizio, è stato chiaramente manipolato dall’uomo, le cui tracce sono evidenti agli occhi di uno scienziato. Vi sono stati inseriti dei frammenti di sequenza del virus dell’aids, con una perizia tecnica propria dell’ingegneria biomolecolare e se si campiona in laboratorio il virus è impossibile non avvedersene, a meno che non si sia in malafede.
Prima di lui avevano analizzato il virus in India, giovani scienziati indipendenti brillanti e capaci, giungendo alle stesse conclusioni.
Ne è derivato un lavoro scientifico che la comunità internazionale ha rifiutato, silenziandolo.
Ne pubblico, a parte, l’elaborato in lingua inglese.
Ma la parte migliore delle pur notevoli conferme di Montagnier è quella sulla prospettive prossime future.
La natura tende all’armonia, ne è la base ed il fine, e quindi nelle mutazioni che ogni virus ha nel suo continuo riprodursi, i segmenti artificiali frutto dell’uomo “scompaiono” e si ripristina la corretta sequenza iniziale.
Il tanto famigerato Covid19, da qualcuno scientemente voluto e diffuso, finirà pertanto con lo scomparire presto e non dispiacerà a nessuno, tranne a chi l’ha voluto.
Perché la natura vince, l’armonia è la base del creato e l’uomo, pena la sua stessa fine, non può illudersi di giocare a fare Dio.
Alessandro Piergentili
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Un ordine mondiale "nuovo"
IL REGNO DI DIO, NON QUELLO DELLE TENEBRE
“Se voi apparteneste al mondo, il mondo vi amerebbe come suoi”
Se a livello globale l’ordine sociale, riferimento inteso come valore positivo assoluto, che tale in realtà non è - un giusto conflitto è considerato elemento moderatore e di crescita - fosse invece in realtà un “disordine” organizzato, a cui siamo docilmente avvezzi e che ci viene imposto per consuetudine acquisita, a tutto vantaggio di un’élite dominante, a quale modello si tenderebbe allora realmente?
Sono infatti frequenti e ripetuti, da voci tra loro apparentemente inconciliabili per natura ed appartenenza, i richiami alla necessità ed all’urgenza, accentuata dalla grave crisi sociale ed economica globale causata dalla pandemia in corso, di riformare l’esistente a favore di un “nuovo ordine mondiale”.
Come se il mondo, di base, ne avesse uno, superato e da rifondare e non si trattasse in realtà del caos in salsa liberale diffuso ovunque e reso sistema, come un virus ben più insidioso del Covid19, volto a preservare il capitalismo speculativo finanziario che, indisturbato, realmente ci governa, a tutela del primato di un insaziabile mercato globale incontrollato assunto a paradigma dell’organizzazione umana.
Tra queste voci distoniche, ma convergenti, ci si può interrogare se valga realmente la pena cercare le distinzioni, di origine e di fine, ma ciò non muterebbe comunque il grave quadro attuale d’insieme e le sue infelici ed inquietanti prospettive.
Ciò diviene del tutto evidente se osserviamo la realtà da una prospettiva di fedeltà cristiana, oggi più che mai necessaria da riscoprire.
Ed a tale riguardo c’è un dato endemico strutturale non ignorabile, impossibile da trascurare.
La Chiesa, umanamente organizzata, ha finito con l’essere, fino ai massimi livelli, simbioticamente unita alle gerarchie civili al punto da meticciarsi, perdendo smalto e profezia, con la pseudocultura di un tempo debole dell’inganno.
L’apertura dovuta al mondo ha finito con l’essere, complice l’offuscamento del sacro e le umane fragilità, una pericolosa omologazione di fatto al pensiero unico dominante che, per sua natura, cadute anche le ideologie di un tempo, è pensiero “liquido”, soggettivo ed individualista, marcatamente relativista e mercantile.
Il contagio è esteso alla stessa Chiesa struttura ed a numerosi suoi ministri che, mal interpretandone il reale significato, spesso rifiutano anche l’appellativo di sacerdoti a favore del più laico “preti”, divenendo poi spesso l’equivalente di meri funzionari del culto aperti al sociale, messaggeri di campagne orecchiabili ma dalla genesi e finalità reali dubbie, a svantaggio dell’essere il giusto tramite col divino, sdraiandosi così sul versante dell’attualità militante anziché ergersi, quale compito preminente, verso l’altro e l’oltre.
La Chiesa ha così accettato, dandolo per segno necessario di adeguamento ai tempi, di snaturare se stessa, perdendo così la sua prerogativa vitale e la ragion stessa d’essere, quale unica realtà umana volta per scopo all’eternità. Ha continuato a parlare ai poveri ed agli emarginati, ma lo fa spesso dai club illuminati e dai salotti della finanza, se non dagli organismi internazionali in mano al potere degli Erode del tempo.
Questa è la Chiesa statalista, che piace al potere. E’ libera di occuparsi di carità, di immigrati forzati quale mano d’opera necessaria ai potenti e di opere assistenziali in genere, divenendo quella Ong che pure non vorrebbe essere, ma il suo Dio se lo deve pregare in privato, chiudendo le Chiese a comando, riconoscendo così che l’Eucarestia non è il centro della vita cristiana, ma un rito memoriale privo di mistero e presenza reale, opzionale e facoltativo. Diviene così la premessa, gradita al potere costituito elitario, di una nuova religione umanitaria indifferenziata, utile al sistema.
Non sarebbe infatti tollerata una Chiesa libera, che abbia a cuore Cristo e il suo Vangelo e che sproni le persone a vivere la libertà propria dei battezzati. Il potere non ha mai amato la Chiesa, se non sottomessa. Una Chiesa che piace al potere non è però la Chiesa del Dio dei cristiani e Cristo non vorrebbe una Chiesa rintanata in sacrestia, per qualsivoglia preoccupazione o timore.
Se avessimo ancora la capacità di profezia che ci compete e ci sarebbe propria, non daremmo per acquisiti modelli sociali parziali e difettosi, che producono guasti planetari, causano miliardi di marginalizzati se non di esclusi a vantaggio di esigue minoranze e delle loro lobby.
E allora, davvero, non parleremmo di “nuovo ordine mondiale”, caro al potere “regnante”, persino auspicandolo, ma guarderemmo con forza e con fede ad un ordine mondiale “nuovo”, questa sì vera “lieta notizia” sociale cui tendere realmente, oggi più che mai.
Alessandro Piergentili
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Un virus piovuto dal cielo
Per ora, nell’impossibilità di poter esprimere un giudizio su questa ancora poco chiara pandemia, sarà opportuno ricordare che pochi anni fa un team internazionale di scienziati, sia cinesi sia occidentali, aveva pubblicato un’ampia ricerca su un coronavirus modificato proprio nei laboratori di Wuhan, ma con la collaborazione di istituti esteri come la University of North Carolina, per studiarne la virulenza sui tessuti umani in coltura.
Uscito il 9 novembre 2015 sulla prestigiosa rivista “Nature”, il resoconto aveva un titolo che suonava come un ammonimento: “Un gruppo di coronavirus circolanti nei pipistrelli e simili alla SARS mostra un potenziale per una emergenza umana”.
Autori della ricerca figuravano: Vineet D. Menachery, Boyd L. Yount Jr, Kari Debbink, Sudhakar Agnihothram, Lisa E Gralinski, Jessica A. Plante, Rachel L. Graham, Trevor Scobey, Ge Xingyi, Eric F. Donaldson, Scott H. Randell, Antonio Lanzavecchia, Wayne A. Marasco, Shi Zhengli e Ralph S. Baric.
Dunque due scienziati cinesi e svariati americani, indiani e perfino un italiano. La ricerca muoveva le mosse dal rilevare i “rischi di un passaggio di specie” attraverso la modifica con tecniche di bioingegneria di un ceppo SARS-CoV, adattato ai topi, dotandolo delle “spicole” esterne di un altro virus, questo tipico dei pipistrelli cinesi del genere Rhinolophus, ovvero il coronavirus SHC014-CoV.
Scrivevano già nel 2015 questi scienziati: “Il nostro lavoro suggerisce il rischio potenziale del riemergere del SARS-CoV dai virus correntemente circolanti nelle popolazioni di pipistrelli. L’emergere del SARS-CoV preannuncia una nuova era nella trasmissione fra le specie di una grave malattia respiratoria con la globalizzazione che condurrebbe alla sua rapida espansione attorno al mondo e a un impatto economico massivo”.
Creando un virus “chimera”, che avesse il corpo principale del SARS-CoV, ma con le “spikes” dell’SHC014, ovvero quelle che sono un po’ le “chiavi” che consentono l’ingresso nelle cellule parassitate, gli scienziati hanno creato un virus sperimentale dimostratosi in grado di infettare cellule umane in coltura.
E anche se gli ultimi studi sul Covid-19 hanno dimostrato che il suo profilo genetico è in parte diverso da quello del germe modificato, non impossibile che la condivisione di tale ricerca fra Cina e Stati Uniti, oltre al resto del mondo, possa aver in qualche modo portato qualcuno a ipotizzare di proseguire queste ricerche in segreto perfezionando un nuovo agente patogeno.
Alessandro Piergentili
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Liberaci dal veleno
UN’APOCALISSE, SOPRAVVIVERE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
La sofferenza è il primo pensiero: in questi mesi tanta, presente, diffusa, anche muta e spesso solitaria. Ciascuno di noi ha perso conoscenti, amici, persino parenti, in questa tragica e surreale lotta contro un nemico venuto da lontano, non visibile e per questo ancora più subdolo, che per vivere e riprodursi ha bisogno di insinuarsi ed attingere in organismi vivi, deprimendoli e ammalandoli, in molti, troppi casi, fino a condurli alla morte.
Uniamo il ricordo e la preghiera, per quanti se ne sono così andati troppo in fretta, da mattina a sera, in brevi malattie spesso concluse col soffocamento, morte atroce ed ancora più vigliacca se costretti persino ad affrontarla da soli, senza nemmeno il calore vicino di uno sguardo affettuoso, di un’ultima attenzione, morire così senza nessuno vicino, dopo una vita trascorsa coi propri cari, amandoli e stringendosi a loro, anche fisicamente, … cosa può esserci di peggio?!... E’ triste e difficile morire, è inumano farlo soffrendo isolati e soli.
Che questi nostri fratelli e sorelle, ora nella vita piena senza fine, sentano il calore della nostra affettuosa vicinanza, unita al ricordo e la gratitudine per quanto hanno fatto e prodotto in vita, oltre che per le loro sofferenze ed angosce, patite in questo tempo buio, al confine con la morte.
Stiamo vivendo realmente un tempo inimmaginabile, a tutti gli effetti un’apocalisse, cioè una “rivelazione” e difatti, ai nostri occhi, oltre le gravi preoccupazioni e le paure si mostrano effetti che ci hanno generalmente “sconvolto”, sia pure per contro persino umanizzandoci in qualche aspetto. Non ultimo pare che tra tanti lutti si sia invece salvata qualche vita innocente, per la difficoltà pratica di abortire in queste settimane.
Sì, abbiamo anche “riscoperto” che nulla è scontato, nemmeno aprire la porta di casa e orientarsi con libertà, che non conta davvero esibire la capigliatura alla moda, il vestito di tendenza, l’auto nuova luccicante, la palestra quotidiana, la movida con gli amici.
Siamo altro, siamo oltre. In questo cataclisma persino la nostra presenza ai riti religiosi è stata interrotta, mai era successo prima, nemmeno durante le pestilenze del passato od al tempo della tragica Spagnola del secolo scorso, che pure provocò circa 50milioni di morti nel mondo. Se da un lato ciò ha attestato un senso di corresponsabilità civile condivisa tra Chiesa e Stato, umanamente apprezzabile, dall’altro non ha però consentito di marcare adeguatamente quella distinzione costitutiva irrinunciabile tra Dio e Cesare e la vocazione irrinunciabile stessa della Chiesa, che per natura e costituzione è volta al trascendente ed alla metafisica, ambiti che sola persegue. Se la religione si fermasse infatti alla sola evidenza naturale delle cose si ridurrebbe ad essere una mera componente sociale etica e benpensante, ma i cristiani non sono e non potranno mai essere appiattiti sull’orizzonte di una Storia finita.
La Teologia ci insegna infatti che la corretta relazione tra Dio e Cesare, nella distinzione di ruoli e poteri, vede però in maniera incontrovertibile il primato di Dio, cui tutto è secondo, Lui solo alfa ed omega della Storia, nostro principio e fine ultimo.
Tutto si supera e si concilia se, da cristiani, poniamo al centro della vita ed a fondamento delle scelte pratiche la relazione esistenziale con Cristo della quale, la partecipazione alla Santa Eucarestia, è elemento imprescindibile ed irrinunciabile, pena il non essere compiutamente cristiani, col rischio concreto di incamminarci pian piano, chissà quanto inconsapevolmente, verso una religione unica globale, umanitaria ed indifferenziata che non è la religione di Cristo, né la fede dei Padri e della stessa Chiesa nei secoli.
Non saremmo più il “sale della Terra”, ma diventeremmo allora l’equivalente di uno “zucchero per diabetici”, tra i tanti disponibili.
Liberaci dal veleno (etimologia di “virus”) allora, Signore, che ci ha duramente piegato e piagato in questi giorni, dal fascino del nulla e dell’effimero che tanto ci ha contagiati in questo nostro tempo, dacci il coraggio della testimonianza frutto di una fede salda e apri i nostri occhi perché possano vedere che tra tante macerie si intravede la possibilità di un mondo “nuovo”, dove le apparenze lasciano il posto alla sostanza, la finzione alla realtà, le vuote convenienze mondane a rapporti autentici e familiari, il primato arido del mercato alla centralità della persona umana e le scelte egoistiche di corto respiro all’inviolabilità della vita, sempre e comunque.
E che non si debba più essere costretti a scegliere a chi dare “ossigeno”, perché ad ogni età la vita ha un valore immenso incalcolabile e la stessa, pari, indisponibile dignità.
Si possa noi renderci conto che abbiamo sì peccato contro l’ambiente, come taluni affermano, ma in primo luogo abbiamo le mani sporche di tanto, troppo, sangue umano innocente.
Lo purifichi, una volta ancora, anche per noi, il rinnovarsi del sacrificio eucaristico, per la nostra vera, unica, sola, salvezza possibile.
Alessandro Piergentili
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Risorgi, è Pasqua
In cammino verso la Pasqua, nel giorno del sabato santo, quando Gesù è morto e non conosce ancora la Gloria.
Ho fatto incontri, oggi, che fanno riflettere e valgono quanto un ritiro dello spirito.
Non si tratta di migranti, sui quali fuori dalle ideologie correnti, ci sarebbe molto da dire e soprattutto da fare, circa le cause vere del processo in atto, specie per rimuoverne le ragioni d’ingiustizia più profonde e autentiche.
Sono molto, con le loro vicende umane condite di attese, spesso illusioni e tante sofferenze, ma non sono i soli né si può ridurre la Pasqua ad una “via crucis” monotematica.
Mi trovo infatti al Pronto soccorso e accompagno una persona che nella vita ha conosciuto e percorso la via del Calvario, fisico e morale, ma sempre con energia e carattere, fiducia nella Provvidenza e rialzandosi ogni volta più forte. Se ne accorgono anche i sanitari e ridono alle sue battute argute ed alla carica emotiva che la accompagna anche in questi momenti e la apprezzano per questo, ancor più guardando all’età. Anche così si fa Pasqua.
Oltre le nostre vicende incontro tre volte le domande del tempo, … che il gallo non canti. Nella prima stazione vedo un giovane di bell’aspetto, dall’aria buona, che emoziona per il forte pianto accorato ed amareggiato in cui letteralmente scoppia nell’abbracciare i due genitori, avviliti quanto lui. La faccia gonfia e i punti appena dati nel reparto di chirurgia plastica sono il segno visibile di un dolore più acuto interiore, si lamenta singhiozzando, avvilito, che in cinque l’hanno ridotto così picchiandolo all’uscita della discoteca, colpevole di avere soccorso l’amico. E’ un dolore il suo che va oltre le contusioni e le ecchimosi e che esprime un’ingiustizia subita, nella giungla del nostro tempo, tra le belve che lo abitano.
Mentre rielaboro queste immagini ecco la seconda stazione: arriva l’eliambulanza che scarica un giovane, sembra un motociclista dall’abbigliamento, che è legato stretto nella slitta di soccorso, che lo avvolge. Attorno a lui sei persone che ne spingono il lettino, ne sostengono gli ausili di soccorso, lo tengono monitorato. Lui a intervalli frequenti grida forte un nome: “Irene!”, probabilmente la persona che trasportava in moto e che chissà dov’è e come sta … Gli accompagnatori, per cui un soccorso è ormai abitudine, all’ennesimo “Irene” cominciano a fargli il verso e uno di loro grida a sua volta: “Adriana!”, richiamandosi alla scena divenuta famosa del film Rocky in cui il protagonista, un pugile malconcio ma vincitore, cerca gridando la sua compagna Adriana…
Passo infine di corsa al supermercato e trovo la terza stazione: un uomo su una carrozzina mi si avvicina alla cassa. Guardando meglio vedo che ha con sé una borsa con della spesa appena fatta. Gli propongo di passare prima di me, ma non vuole, capisco che per lui e la sua dignità il rispetto passa dal considerarlo uguale anche nelle normali precedenze e non favorirlo. Vedo con quale velocità appoggia gli articoli sul nastro e lui, sorridente, mi dice che è importante per lui muoversi e farlo spesso, per restare agile. Mi sorprende nel dirmi che ha 87 anni, ne dimostra almeno 20 di meno. Lo saluto augurandogli una buona Pasqua.
Il gallo non canta.
Anche così si risorge.
Alessandro Piergentili
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“IL MAINSTREAM DELL’AMBIENTE"
NO A SLOGAN FACILI E DI COMODO E CAMPAGNE MEDIATICHE ORCHESTRATE
UTILI ALLE ÉLITES DEL POTERE REALE
L'ambiente siamo noi, ma altro è il clima
La questione dell’ambiente ci tocca tutti, ma soprattutto tocca grandi interessi economici e finanziari di portata planetaria. Dalla mia esperienza e dalla lettura non convenzionale della realtà che ci circonda, che mi sforzo quotidianamente di compiere, esce un dato più preoccupante di altri. Chi detiene ricchezze e potere reale controlla anche, scientemente, l’informazione e manipola le masse.
Spesso sotto bandiere di buoni propositi e temi etici altamente condivisibili si cela l’astuzia del male, che è personificabile, in quanto reale.
Ho visto tante persone in buona fede – tra questi è successo anche a me – e moltitudini di giovani “mossi” a piacimento, in nome di ideali di pace, giustizia e libertà, indirizzati verso false mete per perseguire obbiettivi di comodo e traguardi illusori perché creati ad arte per non intralciare interessi ed affari reali di chi controlla intere economie e nazioni, avendo in pugno organismi sovranazionali, banche centrali, organi d’informazione, strutture politiche, legislative e giudicanti e quanto altro rilevi per continuare a perseguire i propri interessi di parte.
In tutto questo anche il teatrino della politica svuotata di dignità e potere reale, dove vinca chi può ma chi vince realmente sono sempre “loro” che hanno uomini nei posti chiave di ogni “colore” partitico.
Assistiamo a questo con profonda amarezza ma senza alcuna intenzione di resa, con tutta la lucidità del caso e la comprensione della difficoltà della lotta necessaria, che richiede grandi sforzi di lucidità, di ricerca della verità, di capacità di resilienza.
Venendo al clima è ovvio che l’inquinamento innanzitutto ci “uccida”, senza se e senza ma, e vada combattuto in quanto tale, per i danni che produce alla vita presente sul pianeta, animale e vegetale e che sia, a partire da noi uomini che ci facciamo del male da soli.
Altra è la questione del “riscaldamento globale” che andando oltre gli slogan ed una precomprensione affrettata, comoda come arma di “distrazione” di massa, si presta anche a letture ben diverse, sulle quali interrogarsi e che possono offrire visuali di lettura maggiormente approfondite e fondate.
La Terra attraversa ere geologiche che la scienza in realtà conosce e che vanno ben oltre la mediocrità delle nostre azioni, anche le più insensate e dannose, capaci sì di inquinare la vita esistente fino ad ammalarla e persino sopprimerla, ma che non impattano realmente nelle superiori dinamiche del pianeta, come attestano fior di scienziati e geologi che non è comodo ascoltare, nel mainframe imposto al ritmo di campagne precostituite, finti obbiettivi proposti e persino personaggi costruiti in provetta, come capita di vedere in questo periodo, povere ragazzine comprese.
Alessandro Piergentili
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Mondo liquido, senza futuro
Medioevo, tempo buio e privo di respiro, secondo uno stereotipo sempre più logoro e meno condivisibile.
In realtà, in quei secoli "di mezzo", gli uomini del tempo vivevano e praticavano valori e principi alti, che fondavano l'esistenza, ingentiliti da arte di grande bellezza e capaci di nobili gesta, cavalleresche imprese ed eroici sacrifici per donne viste persino "angelicate" e, in quanto tali, capaci di nobilitare l'uomo, ottenendone il meglio e ricambiate quasi con venerazione.
Secoli dopo, in nome dell'assolutizzazione di una ragione divinizzata, a scapito della creaturalità della persona e della sua interiorità più vera e sacra, sospinti dall'esplosione di insaziabili appetiti individualistici e dal primato di un'economia senz'anima, retta da poteri finanziari oscuri, tutto è divenuto liquido, falso, vuoto, brutto, da vedere e da vivere.
Mondo liquido, putrefascente, alla deriva. Il tempo dei lumi, col primato di un'élite mai sazia, convinta di avere diritto di reggere il mondo, condizionandolo ed asservendolo, sta però giungendo al termine.
L'uomo nuovo, l'uomo vero, spirito e materia, libero di esserlo, sta infatti risorgendo.
Essere, non avere! La Storia cambia.
Alessandro Piergentili
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Come colombe, sì, ma astuti
Di un’immigrazione di massa, voluta, dobbiamo leggere le reali dinamiche e mentre aiutiamo chi soffre, alziamo lo sguardo
E’ vero che Gesù ci manda nel mondo, fino ai confini della terra, e sa che siamo “come pecore in mezzo ai lupi” ed è per questo che se ci vuole “candidi come colombe”, esige anche che siamo “astuti come serpenti” (Mt 10,16).
Cerchiamo di esserlo, per quanto ci riesce, anche trattando lo spinoso tema dell’immigrazione, massiccia e senza regole, in una società come la nostra, non a caso sempre più multietnica e multireligiosa. Sgombriamo il campo dagli equivoci possibili, tutto questo “multi” non significa che non abbiamo più, né che non dobbiamo conservare, anche con sana consapevolezza, una storia, una tradizione, delle radici, una giusta identità personale e comunitaria. Da duemila anni a questa parte, nella vecchia Europa, non possiamo non dirci cristiani: queste e non altre sono infatti le nostre basi sociali, culturali, valoriali, artistiche. L’hanno dovuto riconoscere persino pensatori ed intellettuali, onesti, che pure non hanno il dono della fede.. Non possiamo soffrire però della “sindrome di Stoccolma”, quel sottile paradosso psicologico per cui, assediati d’intorno, in senso quantitativo e reale, da moltitudini di emarginati e bisognosi di ogni dove, finiamo col dimenticare chi siamo per “innamorarci” del nuovo e del diverso dimenticando chi siamo e quanto valiamo. Questa è in effetti una società dal pensiero debole, dove l’eccezione la si fa regola e dove pochi potenti hanno in mano le leve vere del potere, a partire dal controllo della finanza, dei mass-media, delle istituzioni di governo e della stessa politica, tutti elementi di distrazione, se non di condizionamento, di massa.
E’ allora giusto, politicamente corretto, senz’altro anche cristiano, dire che debbono poter venire qui tutti, da ogni provenienza e spinti dal bisogno, gridando no ai muri di ogni genere, ma ribadendo che servono piuttosto “ponti” ed andando persino loro incontro, se serve, a prenderceli, guadagnandoci così dal governo austriaco l’epiteto, un po’ irriguardoso, ma non del tutto immotivato, di “scafisti d’Europa”. Ed anche di “ipocriti”, per il fatto che una volta giunti da noi, li lasciamo “liberi”, sì, anche di morire di fame e delinquere, disinteressandocene di fatto e permettendo che vaghino per il continente.
Quanti dei ripetitori di facili slogan, al passo spesso con bandiere “multi”-colore, aprirebbero realmente la porta di casa loro ai bisognosi che dicono di voler accogliere, senza lo sforzo di una costruzione critica? Certo anche i più disponibili vi pongono comunque un limite. L’esercizio della retorica è il più semplice, ma anche altrettanto pericoloso, se è fine a se stesso e rischia così di venire strumentalizzato.
Dobbiamo allora fare un salto di qualità e, mentre aiutiamo chi e come possiamo, andiamo alle radici del problema, capiamone le vere cause, cosa muove queste masse e perché ciò accade realmente ed a chi giovi davvero.
Maurizio Blondet, noto scrittore cattolico, commentando in questi giorni il potere delle lobby nel mondo e guardando a chi le manovra, dopo l’approvazione a suon di fiducia anche in Italia del “matrimonio gay” (questo è ciò che di fatto è stato legiferato) le ha definite “forze terribili ed oscure difficili da contrastare, con un potere terrificante”. Sono le stesse forze che controllano le grandi democrazie occidentali (provate però a “sbarcare” negli Stati Uniti senza documenti preparati in anticipo, autorizzazioni, soldi a sufficienza per il soggiorno, fotografia anche delle retine oculari ed un valido motivo per entrare e vedrete che “ponti” vi preparano! E non è certo l’unico Paese al mondo, sono la maggioranza a regolarsi così!) e che hanno voluto, tra l’altro, l’Europa di Maastricht, quella fondata non più sul Dio cristiano, ma sul dio quattrino di nome “euro”, di proprietà di banche centrali private e vogliono un nuovo ordine mondiale, con un’Europa senza identità, né anima, ottenuta anche con l’immissione di masse di disperati, a vario titolo presenti.
Sono tanti gli immigrati che premono infatti alle porte del continente, e da noi ogni giorno ne arrivano di nuovi. E quante provenienze diverse nella stessa terra bresciana, profondamente trasformata nel giro di una trentina d’anni. E’ quindi un fenomeno recente, ma epocale. Chi di noi è adulto da un po’ di tempo non ricorda, nella sua infanzia, di aver mai incontrato per le nostre strade un uomo dalla pelle scura, che sì, sapeva esistessero, ma li aveva visti al più in televisione od al cinema. Semplicemente qui non erano arrivati, da migliaia di anni, mai giunti stabilmente ed in gran numero nelle nostre città, benché non mancassero i mezzi di trasporto, a partire da scafi e gommoni. Non è quindi solo un problema contingente di guerre e povertà, che pure affliggono davvero l’umanità, specie quella più povera e dei tanti, troppi “senza voce” e che lo fanno dalla notte dei tempi e per chissà quanto tempo ancora (“I poveri li avrete sempre con voi”, Mc 14,7).
Per un povero e la sua famiglia il vero aiuto non è emigrare altrove, pietendo dignità, contendendola alle povertà del nuovo territorio che ha già le proprie sofferenze e limiti strutturali, ma è togliere ai poveri le catene dove vivono, cancellando i debiti ingiusti dei Paesi poveri, impedendo lo sfruttamento, combattendo la corruzione, agendo davvero con politiche di cooperazione internazionale costruttive ed efficaci, cambiando quindi la loro vita, ponendo le condizioni di un reale sviluppo, là dove vivono, dove per loro è “casa”.
E non lo si fa né con gli aiuti “pelosi” concessi ad arte, ma agendo, a livello internazionale, perché cessino le tante, troppe, guerre ingiuste, i bombardamenti a tappeto, le violenze là dove devono poter vivere in pace.
Questo è essere sì candidi come colombe, ma anche giustamente “astuti”, senza retorica, nell’interesse di tutti, che è il sogno stesso di Dio.
Alessandro Piergentili
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"Chi sceglie la via del denaro è un corrotto"
Urge una politica che sia tale e davvero nuova, capace di coraggiosi cambiamenti
Già nel 1900, ben prima dei liberi mercati e della globalizzazione della finanza, il filosofo tedesco Georg Simmel, tra i padri della sociologia, si rese conto del mutamento in atto del ruolo del denaro nella società. Ne pubblicò un interessante volume, dal titolo “Filosofia del denaro”, in cui si svolge un’approfondita analisi dimostrando come il denaro sia il chiaro esempio di un mezzo che diventa un fine. Perso infatti ogni aggancio con contropartite reali, quali l’oro, le banconote non hanno un valore intrinseco, che è rappresentato dalla sola carta su cui sono stampate, ma per la collettività hanno un valore in sé, che se non è materiale diviene allora quasi “spirituale”, finendo così con l’essere desiderate, volute, cercate ad ogni costo, persino idolatrate. Chi le detiene si sente potente, protetto e chi ne decide la stampa e le regole della circolazione appartiene ad un’autentica élite, che certo non è disposta a perdere il proprio ruolo dominante ed è, di fatto, al comando reale della società.
Ho inteso negli anni il significato di quello che da bambino mi era parso poco più di un gioco, messo in pratica in classe dal maestro di scuola. Ci faceva raccogliere fogli doppi, in base ai risultati scolastici, premiandoci con quelli e si attribuiva ad essi un valore, usandoli come “moneta” di scambio per le attività di classe. Quell’insegnamento non va perso, nel suo significato profondo: i soldi sono “fogli di carta”, da usare nel giusto modo, senza farsi usare da essi. Oggi vediamo quanto fosse profetica l’analisi di Simmel, compiuta ben 115 anni fa.
Più ancora di allora il denaro è divenuto nel frattempo immateriale, sintetico, intangibile, persino virtuale, ma onnipresente, come una “spiritualizzazione” del male.
Persone, intere famiglie, la stessa società ne sono condizionate pesantemente, se non ne sono schiave e troppo spesso vittime.
Lo stesso Papa Francesco lo individua come il male del nostro tempo, nel suo uso distorto e nella sua perversa presenza, totalizzante l’esistenza di troppi individui, resi ciechi dall’ingordigia e dalla sete di possederlo, tanto insaziabile quanto fuorviante la loro stessa esistenza, di cui è capace di farne perdere il senso e l’autentico significato.
A Santa Marta, il 20 settembre 2013, Papa Francesco, con la sua consueta forza e chiarezza evangelica, durante l’omelia, dopo aver ribadito che: “Non si può servire Dio e il denaro”, ha aggiunto: "C’è qualcosa nell'atteggiamento di amore verso il denaro che ci allontana da Dio. Ci sono tante malattie, tanti peccati, ma Gesù su questo sottolinea tanto: l’avidità del denaro, infatti, è la radice di tutti i mali”. Grande è il rischio per gli stessi credenti: “Io sono cattolico, io vado a Messa, perché quello mi dà un certo status. Sono guardato bene… Ma sotto faccio i miei affari, no? sono un cultore del denaro… Si tratta di uomini corrotti nella mente! Il denaro corrompe! Non c’è via di uscita. Se scegli la via del denaro alla fine sarai un corrotto. Ecco perché, - ha avvertito il Papa - Gesù è tanto forte su questo argomento".
Capiamo bene, allora, quanto importante sia il compito di chi ha ruoli di governo su un tema tanto centrale quanto decisivo per il futuro della stessa umanità. Chi detiene il denaro, chi ne decide la stampa, la circolazione e le sue regole, di cambio e di prestito, ha delle precise responsabilità che si identificano nei nomi e volti degli uomini dell’alta finanza speculativa e dei banchieri del solo profitto, spesso tali da generazioni e per censo. Sono loro che, a partire dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale, impongono le loro volontà in club esclusivi e più o meno segreti e nei consigli di amministrazione che contano, compresi quelli delle Banche centrali da loro controllate unitamente alla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) con sede a Basilea, la madre di tutte le Banche centrali, che da sola dirige l’intero sistema mondiale ed opera al di sopra delle stesse leggi nazionali e viene per questo definita come “la banca delle banche”, la più potente al mondo.
Completa il quadro della cupola finanziaria globale il Fondo Monetario Internazionale, che assieme alla Banca Mondiale si trova nelle stesse mani.
Se questa è la realtà del controllo del denaro nel mondo, la sua eccezionale rilevanza sociale e le gravi logiche di interesse privato che ne sovraintendono la gestione, ci si rende facilmente conto che per far fronte ad una tale mostruosa idra, una piovra tentacolare diffusa ovunque nel mondo e che condiziona le maggiori democrazie, finanzia partiti condizionandoli ed ispira e sorregge politici in carriera oltre che le scelte inconsapevoli di milioni di individui, ci vuole ben più di un “Davide” ispirato, che è merce davvero rara ai nostri giorni, in cui abbondano piuttosto nani e marionette.
Questa “piramide” delle lobby del potere detta pertanto legge e detiene così, di fatto, le sorti d’intere popolazioni, che necessitano di denaro e credito per lavorare e vivere e, troppo spesso, faticano invece a sopravvivere quando non muoiono di fame, costrette spesso a subire guerre od epocali migrazioni, che suscitano sofferenza in chi emigra e non sono prive di gravi problematicità laddove sono disordinatamente indirizzate. Qualcuno subdolamente le alimenta e dirige, dietro le quinte, allo scopo ultimo di arricchire ulteriormente chi è già ricco e vuole anche in questo modo mantenere ed anzi accrescere i propri privilegi.
Eppure basterebbe poco, volendo, per ricondurre il denaro a strumento e non a fine, per togliergli quell’anima “malata” e farlo divenire elemento sociale di crescita condivisa e per il bene comune, a vantaggio di tutti, a partire dai più deboli e bisognosi.
Bisognerebbe cambiare “il banco” di questo Monopoli truccato e dare alla politica la dignità che le compete, quell’esercizio più alto della carità caro alla Chiesa ed alla collettività le chiavi di un sistema finanziario strutturalmente cambiato e realmente trasparente ed etico, andando ben oltre la facciata e le operazioni di imbellettatura e di marketing, che anche nell’oggi vediamo furbescamente praticare.
Serve quindi un “ethos”, un sentire intimo profondo e reale, capace di autentiche novità e per realizzarlo servono uomini nuovi, capaci di cambiamenti autentici e non quelli che un potere di parte, in mano sempre agli stessi, ci presenta come le “novità” od i “cambiamenti” del momento e che sempre più, purtroppo, sono solo la teatrale sostituzione, da loro diretta dietro le quinte, dei burattini di turno, a non importa quale partito appartengano, ma attaccati ai soliti fili, in mano ai medesimi tristi figuri.
Alessandro Piergentili
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Al servizio del Vangelo, mai del potere
Lo stesso denaro, pur essendo un pessimo padrone, può diventare un ottimo servo. Ci è stato dato, come tutti gli altri beni della terra, non a nostro esclusivo vantaggio, ma in vista del bene comune, dando la prevalenza ai poveri.
Un uso evangelico è anche segno di intelligenza dei veri valori.
Siamo entrati nell’euro da alcuni anni e non possiamo davvero dire di non essercene accorti. Non è stata infatti una marcia trionfale e nemmeno, ad oggi, risulta un qualche vantaggio concreto generalmente apprezzabile, tranne che per i grandi speculatori finanziari di mestiere e senza scrupoli e ad eccezione dei contributi che Bruxelles destina al nostro Paese, ma che per altro sono di gran lunga inferiori a quanti noi ne versiamo all’Europa.
L’Italia infatti, ogni anno, contribuisce all’Unione Europea con 14 miliardi di euro, per riceverne in cambio 9,2 miliardi, destinati per il 63% al sostegno al settore agricolo, di gran lunga il più finanziato.
Va anche detto, ad onore del vero, che la fede nell’euro non è un dogma, neppure economico, considerato che oltre ad altri insigni studiosi l’hanno messa in discussione premi Nobel dell’Economia come Maurice Allais, Joseph Stiglitz ed oggi lo stesso Paul Krugman.
Era peraltro nota già negli scorsi anni, circa le anomalie in corso, la nota affermazione in campo della cooperazione internazionale che stigmatizzava il fatto che, nel mondo, una persona su due sia costretta a sopravvivere con meno di due euro al giorno mentre le mucche europee, finanziate da Bruxelles, potevano contare su cinque euro di contributi giornalieri.
L’errore principale, perché tale è stato a tutti gli effetti, è stato fare l’Europa della moneta unica senza aver prima costruito un’unione europea vera tra i diversi popoli e gli Stati che la compongono.
Di più, l’aver fatto troppo presto partecipi, di un unico mercato, economie asfittiche post-comuniste, come quelle dell’Est europa, ha portato l’onda d’urto di un’immigrazione incontrollabile, da Paesi nei quali lo stipendio medio di un operaio era un quarto del nostro, alla volta dell’Italia, con gli scompensi sociali e le gravi conflittualità non risolte che ne sono derivate.
Un’unione reale, per essere tale, non può che basarsi su valori comuni e condivisi autentici e la storia d’Europa testimonia che questi valori, grazie anche all’azione fondamentale del monachesimo cristiano, sono stati i valori del Vangelo.
Sono queste le sole e vere radici d’Europa, che sono storicamente radici cristiane e che lobbies potenti di plutocrati e banchieri privati combattono da anni col concorso complice delle loro potenti relazioni istituzionali e politiche.
Il quadro che si evidenzia è infatti quello di legislatori europei che, per oltre il 60%, sono eletti grazie all’azione di élites d’affari e rispondono a logiche di consorterie e interessi di parte.
Sono divenuti oltre 6 milioni gli italiani che nell'arco delle 48 ore non possono consumare un pasto sufficiente; circa 50mila famiglie sono state costrette negli ultimi anni ad abbandonare la propria casa perché impossibilitate a pagare il mutuo; circa 300mila imprese sono fallite perché paradossalmente creditrici di un debitore principale insolvente che è lo Stato; la metà della forza lavoro nel nostro Paese è composta da disoccupati, inoccupati, cassintegrati ed esodati; sono meno della metà i giovani che trovano lavoro, quasi sempre da precari e che, nonostante un maggior gettito fiscale, per effetto del più alto livello di tassazione al mondo, il debito pubblico italiano è aumentato sensibilmente, specie in questi anni ed al contempo il Pil è prossimo allo zero.
Eppure negli ultimi anni siamo stati persino governati da "tecnici" qualificati, non tanto incapaci, sarebbe il colmo, ma principalmente rispondenti a logiche sovranazionali, estranee al bene comune, essendo stati voluti da poteri forti europei col concorso dei vertici nazionali ed essendo stati persino guidati da un Presidente del Consiglio che mentre "giurava" di fare gli interessi dell’Italia era al contempo nel direttivo di Goldman Sachs, di Moody's, della potente Loggia di governo mondiale che corrisponde al Gruppo Bilderberg, oltre che della Commissione trilaterale, poteri davvero forti, dietro ai quali si cela, malamente, la speculazione finanziaria senza etica e fine a se stessa, che è causa prima del disastro in atto.
E quando è tornato in carica un governo preteso "politico", che nessuno ha eletto, si è espresso finora secondo programmi di basso profilo retti da un fatuo e stentoreo ottimismo, volti nei fatti a tutelare la grande finanza e le oligarchie di potere.
Sono le persone che guardano con fastidio alla destra ed alla sinistra in politica, già desuete del loro, ma è lecito dubitare che intendano con ciò lasciare spazio e voce non alla politica, ma agli affari che contano ed a chi li rappresenta.
Dobbiamo ribadire un convinto "no" al dogma dell’ineludibilità dell’euro, così come a chi mette al centro il mercato anziché la persona, a chi privilegia e tutela le grandi banche anziché le imprese e le famiglie, a chi deifica la società dei consumi, anziché operare per un autentico benessere sociale.
Al punto 45 dell’enciclica “Caritas in Veritate”, Papa Ratzinger ci ricorda al proposito che: “Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico. L'economia infatti ha bisogno dell'etica per il suo corretto funzionamento; non di un'etica qualsiasi, bensì di un'etica amica della persona. […] Si sviluppa una « finanza etica », soprattutto mediante il microcredito e, più in generale, la microfinanza. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno”.
E’ un doveroso anelito, che parte da lontano e che si basa sugli insegnamenti di Gesù e sul Vangelo, che ci ammonisce circa il fatto che, per gli avidi di ricchezze, sia precluso il Regno dei Cieli. «Hanno già ricevuto la loro ricompensa», dice al riguardo il Signore. I farisei di ogni tempo – anche il nostro ne è pieno! – si ritengono infatti giusti e capaci di servire contemporaneamente Cristo e Mammona, si lodano e premiano tra loro, insignendosi di benemerenze ed attestati che odorano di morte, giustificandolo razionalmente con la separazione tra Chiesa e Stato, tra le proprie convinzioni di fede e la meschinità praticata negli affari di ogni giorno. Ma è chiara ed esplicita la loro condanna: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio» (Luca 16,15).
Non abbiamo scelta, aveva ragione Pascal, siamo chiamati a decidere da che parte realmente stare ed a vivere di conseguenza. Tertium non datur.
Alessandro Piergentili
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Vivere, non sopravvivere
Agli amici, ai propri cari ed a se stessi si augura sovente felicità, fortuna, benessere. Che tutto vada bene, che vivere sia un successo. Accompagnano questi auspici le immagini ed i riferimenti oggi ovunque presenti e che proponiamo ai nostri giovani come riferimenti valoriali, che tali non sono in realtà, ma che loro assumono per tali. “Così fan tutti”, si risponde scacciando dubbi e tacitando sepolte coscienze.
Si deve vivere appieno, senza limiti e confini, secondo logiche di vite “spericolate” e le visioni di una “religione” laica, tanto diffusa e praticata, che vede la realizzazione di una persona in base a quanto sia in vista, non importa più per cosa, fosse anche per la sua sconfinata pochezza, basta che la ponga ai vertici della stessa. O per la quantità di beni posseduti, l’importanza di firme esibite, l’esilità delle forme se donna o dei muscoli scolpiti ad ogni costo se uomo, delle abbronzature senza stagione, del divertimento dovuto inteso come appagamento di ogni pulsione istintiva, che si compra e si soddisfa, perché tutto è in vendita, secondo sballi e movide oggi così praticate e diffuse. Nuove armi di “distruzione di massa”. La nostra società corre il rischio, la cui colpa ricade su tutti non essendoci un responsabile unico, di accettare non solo la manipolazione della vita (aborti, eutanasia, manipolazioni genetiche) ma di contaminare, immiserire ed infine distruggere tante vite comuni, le vite, ciascuna preziosissima, di ciascuno di noi e dei nostri figli.
In tanto deserto spirituale, che è frutto anche di una manifesta povertà culturale, si finisce col credere che chi non ha un “posto al sole”, notorietà e visibilità sociali, sia un povero “sfortunato”, per non dirla col linguaggio greve dei giovani così purtroppo in voga e che debba restare ai margini della nostra società, tanto tecnologica e definita evoluta.
Escludendo chi ne fa un uso professionale e maturo responsabile, per quale ragione dobbiamo avere, anche solo per limitarci a chiamare parenti e conoscenti, smartphone tanto potenti che avrebbero potuto condurre l’Apollo 8 sulla Luna e ne rincorriamo i sempre nuovi modelli? O perché viaggiando incolonnati in città, tra smog e vicoli stretti, dobbiamo accompagnare i figli fin davanti al portone di scuola con improbabili Suv, strappati alla savana e dotati di “parabufali”? Basta girare per il centro di una città alle otto del mattino per rendersene conto.. Per quale ragione una borsa in pelle, per quanto bella, non “vale” e non ci interessa se non ha la targhetta Prada (per dirne una)? E cosa ci facciamo tutti, belli e brutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, su Facebook a scrivere autentiche banalità ad ogni ora, che un tempo avremmo risparmiato anche ai parenti stretti e facciamo invece sapere “al mondo” in tempo reale cosa stiamo facendo, mangiando, guardando e con chi facciamo all’amore, purtroppo inteso solo come bene di consumo e “casella da riempire” sulla bacheca, per non essere da meno?
Siamo in un circolo vizioso in tutti i sensi, in cui per tutto l’arco della giornata comunichiamo (cellulare, sms, vari social, chat, a volte, ancora, anche a voce..) senza dire realmente nulla e ci corichiamo “pieni” di tanto vuoto. Sempre apparentemente collegati a qualcuno, siamo infatti più soli ed ansiosi che mai.
I bisogni degli altri, le povertà, solitudini e sofferenze che ci circondano e di cui il mondo è pieno, sono motivi di disturbo, da esorcizzare e da cui allontanare lo sguardo.
Dio stesso non c’è. Nel nostro orizzonte Dio non ha spazio. E Dio, che ci parla nel silenzio e nell’ascolto, non può “parlarci”: siamo sempre occupati. Corriamo, andiamo di fretta. Il lavoro, gli impegni, la palestra, i centri estetici, anche impegni mondani, pseudoculturali e non certo ultimo il divertimento irrinunciabile, ci attendono. Dio può invece aspettare, gli possiamo rivolgere un dubbioso pensiero solo se ci troviamo all’ultima spiaggia.
Ma “verrà il giudizio di Dio”, come disse in Sicilia parlando ad uomini senza dignità e che tali non sono, il grande papa san Giovanni Paolo II, si verrà un giorno in cui, crollata la finzione, finito l’inganno, saremo posti dinnanzi alla Verità e faremo i conti con quel che abbiamo fatto del dono ineguagliabile della vita, ricevuto senza meriti e della sorte di chi ci è stato affidato (“Dov’è tuo fratello?” - Gn. 4,9).
Alessandro Piergentili
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Famiglia, sola forza ed unica certezza
Ci sono case, dove Dio abita e chi le occupa non è mai solo, anche se non ha compagnia. In queste abitazioni, tra loro diverse, il male può entrare, ma non trova accoglienza. Niente e nessuno può farle franare, perché sono costruite sulla solida roccia. “In questa casa regna amore” capitava più facilmente un tempo di leggere su belle targhe decorate, appese nelle abitazioni. E può essere vero ancora oggi, basta consacrarsi a Cristo, fonte dell’Amore eterno e porlo al centro della dimora e della propria vita. Anche in questo momento abbiamo famiglie, ovunque nel mondo, che vivono la difficoltà ed il dolore, in cui la sofferenza bussa alla porta, preoccupazioni personali o di salute, l’angoscia per un proprio caro, questioni affettive o rapporti complicati tra coniugi, incomprensioni, chiusure, piccoli egoismi se non tradimenti, talvolta meschinità umane, col corollario di miserie che ci appartengono e ci complicano la vita, già di per sé mai facile per nessuno. O grandi angustie dovute ai figli, che oggi più che mai faticano a “crescere” davvero, se non anche difficoltà economiche dovute alla crisi economica in atto ed al rischio reale della perdita di lavoro e guadagno, che tolgono la serenità, ci privano del benessere cui tutti tendiamo e che in una società consumista appare tanto dovuto, quanto altrettanto irrinunciabile.
In tutte queste case entri la pace di Dio, che è pace vera ed è pace dei cuori, che sa trasformare gli uomini e con essi il mondo ed il suo Spirito che sa consolare, illuminare le menti secondo il volere di Dio e non degli uomini, dare forza e nuova speranza. Basta aprirgli la porta e non averne timore, non ci toglie nulla e ci dona tutto.
Dobbiamo sapere che c’è nella storia, perché è in ognuno di noi, fin dalla nascita, una lotta quotidiana sorda e feroce, vera e reale, tra ciò che è il Bene, ed esiste, ma va scelto e perseguito e ciò che lo combatte e lo nega, ed è il male, vero e reale anch’esso, oggi scatenato nel mondo.
Sdoganato da una pseudocultura falsamente illuminata e pseudo progressista dell’esaltazione della libertà individuale come valore assoluto, che tale invece non è, al cui interno tutto diviene lecito e consentito, il male è divenuto in questi tempi perfino arrogante, basandosi sull’attrattiva del proibito, il fascino della trasgressione, l’illusione dell’autodeterminazione, la seduzione dell’appagamento senza limiti e freni dei propri impulsi e della sensorialità istintiva apparentemente gratificante, che nell’immediato soddisfa desideri e voglie, anche le più perverse, un tempo proibite ed oggi perfino esibite senza alcuna vergogna, per poi ridurre alla schiavitù ed alla rovina.
E ciò altro non è, in realtà, che il tarlo della rovina dilagante, la fine dell’ “essere” a vantaggio del falso mito dell’ “avere” e dei consumi in un mercato senza regole, la necrosi dell’anima asservita all’idolatria della materia ed il solo successo, infine, della morte senza speranza, come inevitabile approdo. Spesso i sensi alterati, frutto di coscienze confuse e corrotte, non lo riescono a percepire in tempo.
Siamo attimi sfuggenti, della cui esistenza l’immensità spazio-temporale dell’universo ha perso la memoria nel momento stesso della nostra comparsa, data la brevità della nostra presenza. Esseri minuscoli e comunque fragili, fatti di materia instabile in progressivo deterioramento, con un termine sicuro ed invalicabile. Insuperabile per noi, la nostra biologia finita, le finzioni di una vita gridata fatta di illusioni vuote e di breve durata. Per non pensare e non fare i conti con la natura umana, cercandone come dovremmo il senso e la prospettiva, viviamo invece da storditi, imponendoci ruoli, determinando l’orizzonte dei nostri giorni, scandendoli in impegni e traguardi da raggiungere, in realtà di nessun valore e rifiutandoci di guardare in faccia la realtà, ma sforzandoci di viverne una impersonale, alienante, fatta di mondi artificiali, di sensi obnubilati, di avventure virtuali, di modelli stereotipati e di tanta solitudine e tristezza, come risultato diffuso dilagante.
Nel mondo agiscono infatti forze tra loro diverse, ma concordi anche inconsapevolmente e di fatto alleate, che sono causa della lunga “notte oscura” che l’umanità sta attraversando e della disperante follia di tanti giovani ed adulti. Notte di rovina collettiva, dove si consumano aborti, si pratica eutanasia, si stacca la spina alla vita, dono e potestà solo di Dio, si violentano le famiglie, si deride il sacro e si crocifigge ogni giorno Dio. In questa coalizione di forze del male, agguerrita e potenzialmente letale per il futuro dell’uomo, c’è al vertice un’elite di comando, che intende mantenere il costante controllo mondiale, che è di fatto detenuto, nei principali centri economici e finanziari che lo amministrano (e che governano anche il “più modesto” e subalterno potere politico) da ristrette gerarchie “illuminate”, dell’interesse di parte. Vi sono poi le masse, quelle del Sud del mondo mosse dall’esigenza di sfuggire alla fame ed alla povertà e che faticano ad affrancarsi e sfuggire dai centri dell’ingiustizia e quelle dei Paesi ricchi, animate da un buonismo di facciata e da slogan “facili” loro propinati, di pretesa e generica “libertà, uguaglianza e fratellanza”, secondo schemi troppo spesso libertari ed atei, contrari alla vita, all’uomo, alla stessa Chiesa, fanno marciare anime sprovvedute, spesso in buona fede, ai ritmi e secondo gli interessi delle lobby di comando.
In tali contesti si parla di pace, ma si vive la guerra a partire da sé e da casa propria; si vuole essere incondizionatamente liberi, anche di uccidere gli indifesi nell’utero e nei letti di ospedale; si vogliono Stati senza confini, basta che a restare chiuse siano le proprie di porte; si mettono sullo stesso piano le religioni, perché nella marmellata di culture e valori che ne risulterebbe appiattendole a predominare e vincere sarebbe la “grande religione degli interessi” di chi, nella penombra, manovra il pianeta teorizzando un nuovo ordine mondiale.
Questi architetti del caos, costruttori ed artefici del nulla, apparentemente impegnati per un mondo migliore, sono in realtà “sacerdoti del potere” e schiavi del “dio denaro”.
Solo un’arca ci può salvare da questo diluvio universale dei nostri tempi e solo un porto ci può offrire realmente riparo nella tempesta: la famiglia cristiana, che è luogo della vita, dell’accoglienza, del senso dell’esistenza, rifugio di salvezza e alimento di speranza.
Una famiglia nata dal provvidenziale incontro (non è mai frutto del caso) tra un uomo ed una donna che, in quanto cristiani, vivono la loro unione come una vocazione, sapendola benedetta da Dio, cui intendono offrire testimonianza, con la propria vita. Ciò non significa affatto che la famiglia cristiana sia esente da difficoltà o problemi, avversità ed incoerenze od abbia un che di irreale o di etereo. Tutt’altro. Non è un santino, né un’icona per la pubblicità a gustose merendine, nemmeno un tema da agitare per proprio comodo e convenienza, magari da persone che, professandosi cristiane, di famiglie nella realtà ne hanno più di una, ma un luogo vivo e reale dove si vive ogni giorno la fatica dell’esistere, la difficoltà del crescere, l’incertezza del domani, il conto con le difficoltà quotidiane, tutto però sorretto ed alimentato da una luce che non si spegne e rischiara il cammino ed orienta la vita, volgendola verso Cristo.
Solo così si può capire che “questa” è la famiglia e non altre, che un conto è “convivere” ed un altro “vivere con”, se la presenza che motiva e dà senso e prospettiva è Cristo, l’unico Maestro davvero venerabile, il Buon Pastore che ci chiama ciascuno per nome e che conosce anche gli aspetti più reconditi e nascosti di noi ed il solo in grado di rendere l’uomo figlio del Dio vivente.
Alessandro Piergentili
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Il mistero sacro ed inviolabile della vita
Da quando, fin dalla notte dei tempi, l’uomo ha alzato lo sguardo al cielo, ancora ignaro del suo stesso provenire, ma naturalmente teso fin da allora a comprendere e disporre della realtà del suo esistere, si è confrontato con l’immensità dello spazio, la dimensione inafferrabile del tempo, l’ineffabile grazia della vita ed il mistero inestricabile, insolubile e realmente angosciante, della propria stessa inevitabile morte.
Vivi lo siamo, per lo spazio che intercorre tra un respiro ed il successivo, accompagnati dal battito di un cuore che pulsa senza sosta fino all’ultimo attimo, e che ci vede in continua metamorfosi e progressivo inarrestabile degrado.
La vita dunque è respiro, battito, trasformazione, crescita e poi declino, attesa e fermento, quindi compartecipazione, in innumerevoli modi e forme, al presente del mondo, del quale rappresenta un microcosmo prodigioso e fedele.
Trovassimo mai, nell’universo, un fremito vitale, per quanto flebile e parziale, ma comunque reale, grideremmo al miracolo, ne saremmo sbalorditi e commossi, tutti d’accordo lo sosterremmo pronti a difenderlo, studiarlo e porlo al centro dei nostri interessi, troppe volte solo economici, e diventerebbe la notizia principale di tutte le notizie.
Non riusciamo invece a fare altrettanto per la vita che abbiamo d’intorno, la nostra stessa, che troppe volte trascuriamo ed insultiamo, con condotte lesive e comportamenti a rischio, o per quella di chi ci circonda e vive il nostro tempo, ma non ha voce, per farsi udire e per difendersi.
Ai troppi senza voce, cui neghiamo la vita, il suo mistero ed il valore incommensurabile che racchiude, dobbiamo rendere giustizia e chiedere perdono: a chi muore perché non è voluto, a chi muore perché non è sfamato, a chi muore perché non è curato, a chi muore perché dimenticato, a chi muore perché non ha speranza, a chi muore perché non è come lo penseremmo e vorremmo, a chi comunque muore anche se vivo, perché non trova amore.
Siamo stati capaci di credere che l’uomo e la donna siano realmente tali se rispondenti a canone estetici imposti e fugaci, frutto di appetiti di guadagno e di pulsioni istintive rese condotte praticabili, cancellando la Legge di Dio e inascoltando la voce della coscienza, viva in ciascuno di noi.
Se Dio è morto, per dirla con Nietzsche, non ci resta che il nichilismo e l’assenza di valori e nulla realmente vale qualcosa, escluso l’interesse del singolo e ciò che a lui preme. Ed è solo giungla e con essa la fine della famiglia umana e l’inizio della barbarie, senza fondo né limite alcuno.
Ed allora Auschwitz è ancora possibile, il razzismo ed il rifiuto sono leciti, l’abbandono, l’aborto, l’eutanasia diventano possibili, perfino giustificabili razionalmente, da una mente che ammette solo i propri sillogismi e non conosce Dio e, ignorandolo, non comprende nemmeno la realtà dell’uomo.
Se Dio non c’è, noi siamo gli dei che lo sostituiscono, idoli del niente dai piedi d’argilla, incapaci d’amare realmente, ma maestri nell’arte di mistificare e distruggere, frutto dell’azione del male nel mondo, il cui scopo è sopprimere la vita e con essa annullare il principio e fine della creazione stessa.
Se Dio non c’è, l’anziano non autosufficiente non serve, ma costa, se Dio non c’è, il bambino non voluto è solo un rifiuto organico, se Dio non c’è, il malato non autosufficiente non ha una vita che meriti di essere vissuta e lo zingaro, l’immigrato, il diverso, il non alto, il non bello, il non griffato ed affermato, il “non” e basta, vanno semplicemente eliminati e per farlo ci giustificheremo perfino, perversione del male più profondo, sostenendo che sia giusto farlo, perché la loro è semplicemente “non vita”, indegna di essere vissuta, e sopprimerla è pertanto un atto di umanità dovuta e di progredita civiltà. La civiltà della morte.
Ma se Dio invece c’è, e c’è, cosa sarà di quei padri e quelle madri che oltraggiano uno di quei “piccoli”, giungendo fino al metterlo a morte, ignorandone il volto divino?
Perché “ciò che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40) e perché “sarebbe meglio per lui che gli fosse legata una macina d'asino al collo e che fosse sommerso” (Mt. 18,6), ha detto Gesù.
Perché un genitore, che impedisce ad una vita l'inviolabile diritto di essere e la sopprime scientemente, negando la verità della sua indisponibilità, commette fuor di retorica e senza perifrasi, un tragico assassinio.
Alessandro Piergentili
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Agnelli in mezzo ai lupi
Anche nella cattolica Italia non si nasce più cristiani per definizione, ma lo si diventa invece per scelta matura e consapevole ed è allora necessario dare a questa vocazione – vera chiamata per fede, frutto dell’incontro con l’Altro – il senso autentico e pieno che ciò necessariamente comporta. Non è infatti un dato principalmente anagrafico o di appartenenza familiare, l’essere membri della Chiesa di Cristo, ma diventa una chiamata alla Missione attiva, nel senso della partecipazione reale alla costruzione del Regno, ciascuno sulla base dei talenti di cui dispone, impegnandosi in prima persona per farli fruttare al meglio. Da un lato ciò può comportare l’essere apparentemente meno numerosi di un tempo, ma certo più convinti e partecipi. Essere cristiani non è mai stato infatti un impegno per soli religiosi a cui i laici assistono, ma uno stile di vita che riguarda ogni battezzato e quindi di scelte da compiersi ogni giorno nel concreto della propria vita. Lo stesso Vangelo ci ricorda invero che i cristiani in quanto tali devono essere "il sale della terra e la luce del mondo", condizione davvero necessaria in un mondo oggi largamente “insipido”, in cui le “tenebre” paiono farla da padrone. Ed una sfida che interpella quindi tutti e che, secondo le parole di Gesù, è insieme un "dono" ed un "compito". Non ci demoralizzi il sapere che viviamo tempi difficili, in cui sembra perfino diventato un nuovo valore sociale il dichiarare, senza pudore, di non avere alcun valore umano autentico. Ci è d’aiuto lo stesso Sant’Agostino quando afferma: “Voi dite: i tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili. Vivete bene, e muterete i tempi!” (Discorsi, 311-8).
Oggi il cristianesimo e ciò che di singolare ed unico rappresenta, è declinato dalle diverse componenti della società, anche partitiche, in maniera esplicita od implicita, con una presenza diffusa e disseminata che, se ha in sé il germe della missionarietà, corre d’altro canto il rischio dell’insignificanza se non della contraddizione inaccettabile. I cristiani ed i loro simboli più alti non possono e non devono infatti essere mai strumentalizzati o divenire appannaggio solo di una parte, per essere anche branditi contro l’altra, per quanto ci sia chi si ritenga espressione di istanze maggiormente meritorie dell’appellativo “cristiano”, ma tutte comunque da dimostrare nella finalità realmente cristiana delle proprie scelte complessive reali.
La vita e la sua tutela, nella promozione integrale della persona umana, di ogni uomo e di tutto l’uomo, secondo la corretta logica evangelica e nello spirito del magistero ecclesiale, di cui è magnifica espressione recente l’enciclica Caritas in Veritate di papa Benedetto XVI, sono infatti la cartina di tornasole della bontà dell’impegno sociale di un cristiano, cui non basta perseguire la giustizia, se disgiunta dall’amore e che mai potrebbe abdicare ad essere se stesso ed esprimersi con coerenza, ad ogni costo, neppure se messo in minoranza.
Ci sono inoltre tanti buoni cristiani impegnati nel sociale che, nella contemporanea società degli uomini liberi, frutto dell’illuminismo positivista, oggi liberi da tutto, perfino dalla propria coscienza e da Dio, corrono il rischio di agire al servizio di cause che, ai piani alti dei poteri reali globali e sotto la veste amabile e suadente di azioni a difesa dei diritti dell’uomo, perseguono nei fatti l’annichilimento del valore inalienabile della vita, la scomparsa della fede, l’annullamento della stessa Chiesa.
Nei tempi moderni dell’individualismo è stato separato, non senza ragioni, visti i guasti del passato, il potere politico da quello religioso, da lì facendo discendere la necessità di vivere in maniera separata le due dimensioni del vivere umano. Nella separazione si è di fatto insinuato, con forza ed evidenza, il male della contraddizione, il vizio dell’errore, la morte dell’essere umano e della sua dignità di figlio di Dio. Ma separazione degli ambiti non significa divisione e non vuole dire nemmeno estraneità e tantomeno perdita di identità. Essere cristiani, oggi, significa anche essere minoranza esplicita, critica e propositiva, capace di testimoniare la novità evangelica nel mondo contemporaneo. E si può fare sia disseminati in ambiti tra loro diversi, sia uniti invece nella comune testimonianza, anche politica. Una scelta non esclude l’altra. Ciò vale per chi è impegnato in politica e nel sociale, ma anche semplicemente nelle scelte quotidiane di ciascuno. L’importante è vivere la propria dimensione personale nella consapevolezza di una testimonianza che non conosce altro modo, per essere espressa, che la fedeltà a Cristo, unica e vera Via, Verità e Vita e che, in quanto tale, non ammette doppiezze o, peggio, tradimenti. Può non essere popolare e nemmeno “furbo”, secondo le false e fugaci convenienze del tempo, ma solo l’amore e la fedeltà saranno riconosciuti.
Alessandro Piergentili
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